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Tecnologia di un locomotore (1)

Pubblicato da Fabio il 18/07/2009 alle 16:31 in "Elettronica".
"Come funziona un treno?" Una domanda semplice, che riguarda un mondo dove fino agli anni '80 l'industria italiana godeva di grande considerazione. Ovviamente non mi riferisco a delle sbuffanti locomotive a vapore o dei rombanti locomotori diesel, parlo invece della tecnologia più comune, quella elettrica.
Un locomotore elettrico, ad una prima analisi, sembrerebbe qualcosa di semplice, in fondo il suo funzionamento si basa su: un sistema per captare l'alimentazione (pantografo), un motore elettrico ed un sistema di regolazione della velocità. In realtà non è così semplice.

Un locomotore elettrico è una macchina progettata per trainare convogli passeggeri che possono superare le 600 tonnellate, per non parlare dei lunghissimi treni merci, ancora più pesanti. Per svolgere questo genere di compiti, un locomotore deve avere una potenza dell'ordine dei MegaWatt.
Prendiamo ad esempio un e656, la sua potenza continua è di 4.2 MW, a cui corrisponde, data la tensione della linea di 3000V nominali, una corrente dell'ordine delle migliaia di ampere.
A questo punto, è facile comprendere come, la gestione di potenze e correnti di quest'ordine di grandezza, non sia per niente facile.

I locomotori, dal dopoguerra fino agli anni '80, hanno utilizzato esclusivamente motori in corrente continua (MCC)*.
Questo genere di macchine elettriche, presentano una coppia in avviamento molto elevata, che effettivamente è molto utile per un locomotore, ma a questa coppia elevata corrispondono correnti assorbite molto alte.
A causa di queste correnti, l'avviamento di un MCC di elevata potenza non può essere eseguito alimentandolo subito alla tensione nominale altrimenti, i fenomeni elettromagnetici conseguenti sarebbero talmente elevati da danneggiarlo meccanicamente.

I locomotori con MCC sono dotati di un apposito sistema elettrico che permette di regolare la tensione applicata all'armatura del motore, in modo da regolarne la velocità e allo stesso tempo limitare la corrente assorbita, perché non diventi pericolosa.
In presenza di più motori, la tecnica più semplice per variare la tensione applicata è quella di cambiare la loro modalità di connessione. Un classico locomotore italiano è dotato di 6 assi, ognuno motorizzato con uno (o due accoppiati) MCC, quindi in fase di avviamento i motori, attraverso interruttori di potenza, contattori, vengono connessi in serie in modo da far cadere, su ognuno di essi, un sesto della tensione di alimentazione. Una volta avviato il treno si potrà poi riconfigurare i contattori per connettere i motori in parallelo.

Nonostante la possibilità di variare la connessione dei motori, la tensione di avviamento e di conseguenza la corrente, è comunque troppo elevata e allora si può ridurre tale valore interponendo fra alimentazione e motore un reostato, cioè un dispositivo con resistenza regolabile.
Il reostato posto in serie ai motori agisce da partitore di tensione, maggiore è la sua resistenza e minore sarà la tensione applicata all'armatura dei motori e viceversa. Il reostato è composto da una serie di pacchi di resistenze di valore fisso, con posti in parallelo altri contattori. Il valore di resistenza massima si ha quando tutti i contattori sono aperti, via via che vengono chiusi la resistenza totale del reostato diminuisce. Quando tutti i contattori sono chiusi si ha la completa esclusione del reostato e quindi i motori risultano collegati direttamente alla tensione di alimentazione.

Schema a blocchi azionamento a reostato

Ricapitolando, in fase di avviamento il locomotore avrà i motori connessi in serie e il reostato completamente inserito, in questo modo, attivando la locomotiva, la corrente di spunto sarà elevata, ma comunque entro i limiti di funzionamento della macchina. In fase di avviamento le correnti sono dell'ordine delle centinaia di ampere e la potenza dissipata sul reostato può raggiungere i 500 kW.
Accelerando, la corrente sui motori inizierà a diminuire e si potrà iniziare ad escludere il reostato per aumentare progressivamente la tensione sui motori e quindi la velocità.
Una volta escluso completamente il reostato, per ottenere un ulteriore aumento di velocità sarà necessario cambiare la configurazione dei motori che passeranno al parallelo, con il reostato che verrà nuovamente reinserito. Il passo successivo vedrà la progressiva esclusione del reostato come già fatto per la configurazione serie.
In alcune locomotive una ulteriore variazione di velocità può essere attuata agendo sull'avvolgimento di eccitazione per mezzo di appositi shunt.
In fase di decelerazione i motori si trasformano in generatori e la potenza sviluppata viene dissipata sul reostato.

Come intuibile, l'accelerazione di un locomotore di questo tipo avviene a passi discreti, perché ogni azione sul reostato o sulla configurazione dei motori genera una brusca variazione di coppia.
Questo tipo di azionamento nonostante sia vecchio è ancora molto diffuso fra i rotabili nazionali, a causa probabilmente della notevole affidabilità.
I punti deboli di questi locomotori** si limitano: alla notevole dissipazione di potenza sul reostato ed all'uso di contattori, che devono essere dotati di appositi sistemi spegni arco per poter interrompere correnti continue di centinaia di ampere.

Nella prossima puntata l'azionamento a chopper serie...

*) In questo articolo, mi limito a spiegare il funzionamento di un locomotore, quindi non approfondirò la teoria dei motori elettrici e degli azionamenti e darò per scontato la conoscenza di alcune nozioni di base.
**) Tralascio gli svantaggi propri dei motori in corrente continua di cui parlerò più avanti.
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Spulciando lo schema elettrico del CDX-390

Pubblicato da Fabio il 24/05/2009 alle 18:13 in "Elettronica".
In questi giorni, mi son messo a cercare il manuale di servizio del mio vecchio lettore CD Yamaha CDX-390 (tanto per tenermi occupato e non pensare ad altri problemi), attualmente "parcheggiato" in garage in attesa di deciderne la sorte*.
Il lettore è finito in garage dopo pochi anni di servizio perché non riusciva più a leggere la TOC dei CD, infatti una volta inserito un disco questo veniva miseramente risputato fuori dando errore.
Il malanno del vecchio Yamaha è al laser che, per usura, genera un fascio meno potente mettendo in difficoltà il meccanismo di tracciamento della testina. Le soluzioni sono due: o si aumenta la corrente sul diodo laser, o si aumenta il guadagno dei trasduttori per migliorare il segnale ricevuto (a parole sembra molto facile...).

Di trovare il service manual non se ne parla, visto che l'unico file che trovo è corrotto, però riesco a reperire lo schema elettrico del lettore.
Rapida occhiata e sullo schema individuo un bel trimmer con il quale regolare la corrente sul diodo, peccato che sia posizionato direttamente sul gruppo ottico e in un punto irraggiungibile senza smontare tutto (ma porc...).

Tralasciando la riparazione, ci troviamo davanti ad un progetto votato alla massima economia: pochi componenti e tutti integrati.
Infatti, la gestione del segnale digitale è svolta da un unico integrato LSI della Panasonic, mentre quella del display da un microcontrollore NEC.
Lo stadio di alimentazione è realizzato con un regolatore integrato duale (neanche sapevo esistessero), con il quale vengono stabilizzate le due tensioni che alimentano tutte le parti del lettore.
Ebbene sì, non esistono due alimentazioni una per gli stadi analogici ed una per quelli digitali, ma per risparmiare è tutto insieme.

Lo stadio di uscita è composto da un operazionale doppio (NJM2068), che implementa un filtro attivo VCVS del 2° ordine**.

Stadio di uscita CDX390

La risposta in frequenza simulata mostra una frequenza di taglio posta a circa 50 kHz con una lieve enfasi alla alte frequenze ed una variazione di fase consistente di circa 50° a 20 kHz.
Forse è proprio da questo che dipende il suono un po' freddo dell'apparecchio, mentre la causa dello scarso ritmo e del basso poco controllato è da ricercare, probabilmente, nel sistema di muting.
Per disabilitare l'uscita il CDX-390 usa due Bjt per canale connessi ad una serie di tre resistori che portano la resistenza d'uscita dello stadio ad oltre 1 kohm, valore ben lontano dall'ideale.
L'economia a tutti costi non ti permette di usare stadi di uscita a discreti, capaci di uscire con una bassa impedenza e sistema di muting a relè che sicuramente avrebbe inficiato meno sulla qualità del segnale.
Lo stesso convertitore D/A, integrato nel chip LSI Panasonic, è una scelta "povera", sicuramente meno performante di un circuito integrato dedicato.
Insomma un lettore mediocre, ben costruito, ma senza nessuna raffinatezza tecnologica.

*) Per la cronaca, al suo posto è collegato un lettore DVD Pioneer DV-515, modello peraltro molto famoso ed apprezzato per le sue qualità musicali, anche se inizia a sentire il peso degli anni.
**) Con smorzamento di 0.65, quindi vicino ad un Chebyshev.
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Alimentazione di un computer in auto

Pubblicato da Fabio il 19/04/2009 alle 16:56 in "Elettronica".
Nelle settimane scorse, vista la moda dei mini computer tipo EeePC e Aspire One che ha contagiato molti miei amici, è nata una piccola discussione sull'utilizzo di queste nuove tipologie di prodotti a bordo di un auto.
In parole povere, alla base c'era l'idea di usare un mini computer come l'AspireOne (per gli amici Aspirino) per realizzare un carputer*, da integrare nella plancia dell'auto.

La discussione si è articolata più che altro sul "come alimentare il carputer", dall'impianto elettrico dell'auto.
Una possibilità è quella di usare un inverter, ormai facilmente reperibile, per generare il 230V (corrente alternata) da distribuire ai classici alimentatori in dotazione con i computer, ma questa soluzione presenta dei limiti in termini di efficienza elettrica, ingombro e sicurezza.
La soluzione più semplice è utilizzare un convertitore DC/DC che, partendo dai 12V nominali della batteria, generi le tensioni continue necessarie al computer.

Il convertitore da scegliere dipende, ovviamente, dal dispositivo da alimentare, se è una scheda tipo mini-ITX, serve un dispositivo capace di generare in uscita le stesse tensioni di un normale computer (12V, 5V, 3.3V, 5Vsb, etc.), utilizzando invece un Aspire One è necessaria una tensione di 19V con la quale caricare la batteria interna.

Di conseguenza utilizzando un Aspire One il problema si ridurrebbe a convertire la tensione di batteria da 12V a 19V, per mezzo di uno stadio elevatore, anche chiamato booster.
Uno schema di questo stadio può essere il seguente, che ho disegnato ieri mentre provavo il simulatore spice**:

BoosterOne

Senza entrare nel dettaglio, basta utilizzare un classico controllore PWM current mode (come il vecchio UC3843) per realizzare un circuito a commutazione in grado, per mezzo di una bobina, di elevare e mantenere stabile la tensione a 19V.
Il circuito mostrato è solo la base, allo schema devono essere aggiunte le protezioni classiche degli alimentatori: OCP (protezione da sovracorrenti), OVP (protezione da sovratensioni), OTP (protezioni termiche).
Nel progetto si deve, inoltre, verificare il corretto funzionamento del convertitore per un range di tensioni in ingresso abbastanza ampio, visto che la batteria può variare, a seconda dello stato di carica dai 10V fino ai 14V.

Un convertitore DC/DC ad uscite multiple come quello necessario per un CarPC mini-ITX probabilmente utilizzerà, in ingresso, uno stadio come quello presentato, per generare una tensione interna più alta di quella di batteria.
Questa tensione interna poi sarà prelevata da altri stadi di regolazione che l'abbasseranno al valore necessario (12V, 5V, 3.3V, etc.). In questo modo si ha un doppio vantaggio: è possibile garantire le corrette tensioni di uscita anche se la tensione di batteria è bassa (inferiore ai 12V) ed è possibile immagazzinare più energia nei condensatori a parità di capacità, rispetto ad uno stadio senza booster.

*) A parte che il termine carputer mi fa pensare più a delle tecniche di pesca della carpa, che ad un computer.
**) Per la cronaca MicroCap gira benino in emulazione su Wine, ma ogni tanto si "pianta".
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